Canto di Marte

Di Paolo Maggioni Conte

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Vengo da Marte, ne sono convinto,

perché non mi spiego lo strano tormento,

di chi di una patria aliena si sente l’esule

e senza motivo prova sgomento,

per una casa così lontana e flebile.



Marte gelido e siderale, eppure rosso calore,

che abbaglio in quel finto tepore,

che desolazione tra i suoi colli meteori,

nell’inerte sgocciolare delle sue ore,

nelle sue distese di ferro e crateri.



Eppure odio i miei passi e li sento,

nel mezzo di quel fatuo e rauco vento,

nel fragore di terre e ghiacci in stallo,

stordito da un cielo che non conosce pianto,

abbacinato da scintillii di pietre e metallo.


Marte, si dice, è della terra il gemello,

e che in tempi antichi fosse ancora più bello,

vivo e traboccante di acqua impetuosa,

ed è forse in quei giorni che fu costruito il vascello,

prima che raggi mortali abbracciassero ogni cosa.



Quando lo vedo ora, negli scatti dell’ardire umano,

sento che è sempre esistito quel richiamo,

la mia casa, ora, è persino più preziosa,

perché i suoi colori sono come un ricamo,

di casa, di rientro, di amore e di sposa.



Avete mai visto quelle tempere rovesciate,

di un pittore che in fuga le ha abbandonate,

di colate variopinte di clorite e ossidiane,

distese di ossido, basalto e andesite,

tempestate di gemme antidiluviane?




Quella è la mia casa, ne sono certo,

anche se ora sembra un lontano deserto,

so che un giorno vi tornerò,

prima che la terra diventi un sasso morto.

Marte, nella mia casa perduta dimorerò!

Paolo Maggioni Conte

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