Bruno Manser, è stato forse l’ultimo uomo occidentale a combattere veramente contro il taglio indiscriminato della foresta pluviale del Borneo in Malesia e Indonesia, attuato per lo sfruttamento del legname e per rendere le nuove terre coltivabili secondo la logica depauperante delle monocolture di tipo intensivo. Il suo, è stato un approccio drastico, senza compromessi. Sapeva che ogni dialogo con le multinazionali della rapina ambientale sarebbe stato inutile. Le uniche entità capaci di cambiare qualcosa sarebbero state l’opinione pubblica e le organizzazioni internazionali e fece di tutto per sensibilizzarle.
Egli era convinto che per salvare il Borneo e gli ultimi nomadi della foresta, tra cui i Penan, occorreva diventare uno di loro, vivere con loro per anni, indossando gli stessi vestiti, acconciandosi allo stesso modo, dormendo assieme a loro, cacciando con loro e con loro patendo la fame, le malattie, ma soprattutto la persecuzione ad opera delle grandi multinazionali le legno, dell’energia e dell’agroindustriale. Lo fece con lo spirito di chi aveva studiato antropologia con la convinzione che si deve diventare la materia del proprio impegno, se si vuole capirci qualcosa.

Tutti ricordiamo qualche anno fa, le immagini dal satellite che immortalavano i pennacchi di fumo (visibili fin dallo spazio) derivante dalla feroce combustione delle foreste per far posto alla monocoltura della palma da olio (che finiva poi nei nostri prodotti alimentari).
Molti anni prima (tra la metà degli anni ’80 e la fine dei ’90), Bruno Manser denunciò il crescente clima di intimidazione perpetrato dalle multinazionali del terrore, con l’avvallo delle istituzioni malesi e indonesiane, grassamente zittite a suon di miliardi di dollari. Erano anni in cui singole voci si levavano sopra le nebbie della totale ignoranza (ricordiamo, ad esempio, la zoologa Dian Fossey diventata celebre con il film Gorilla nella Nebbia) da parte di un’opinione pubblica mondiale ancora intenta a digerire il consumismo forzoso degli anni ’80.
Erano anche gli anni di Chico Mendes, che conduceva la stessa battaglia di Manser a migliaia di chilometri dal Borneo, nella foresta amazzonica del Brasile. L’uccisione di Mendes, diede il via al primo vero movimento di contestazione dell’opinione pubblica mondiale, sui temi della conservazione ambientale, anche se purtroppo molte delle iniziative che ne scaturirono si rivelarono essere pure attività di marketing e merchandising.
Tant’è vero che vent’anni dopo, i brasiliani hanno pensato bene di eleggere Bolsonaro (il peggior nemico dell’ambiente che il Brasile abbia mai conosciuto), lo stesso che ha definito gli indios dell’Amazzonia un inutile ostacolo al progresso e la foresta primitiva, patrimonio disponibile della sua cricca.

Manser, dal canto suo, fu dichiarato persino fuori legge e fu messa su di lui una taglia. Sappiamo chi erano i fuori legge, gli stessi di oggi, quelli che hanno ipotecato il futuro dei nostri nipoti e del pianeta terra, rintronandoci con il miraggio opalescente e ingannevole dell’ideologia del successo e del consumo e da ultimo, balenando il miraggio del cambiamento con la retorica ipocrita della conversione ecologica e industriale.
Bruno Manser fu costretto a fuggire in Svizzera (sua terra natia) dove fece dimostrazioni disperate e a volte rocambolesche (come i suoi voli acrobatici con striscioni per sensibilizzare l’opinione pubblica) per una causa che sembrava ormai persa. L’indifferenza degli Svizzeri e degli occidentali fu totale.
Gli vennero rivolte accuse spregiudicate, al puro scopo di screditarlo, nella migliore tradizione della macchina del fango ordita contro chi rifiuta di allinearsi alle allucinazioni neo liberiste. Fu dipinto come un fanatico ambientalista, estremista. Oggi sarebbe stato chiamato semplicemente terrorista. Ma quand’è che qualcuno comincerà a parlare di terrorismo consumista o fondamentalismo neo liberista?

Bruno scomparve nel 2005, nelle sue amate foreste, nell’ultimo tentativo di raggiungere i Penan. Di lui non si seppe più nulla. Non venne mai ritrovato. Si disse di tutto per screditarlo anche da scomparso. Si disse che fosse stato ucciso da una tribù che non aveva mai visto un bianco o dai Penan suoi compagni di lotta. E’ molto probabile invece, che fosse stato fatto sparire dai tagliatori clandestini di legname.
A testimonianza della statura filosofica e poetica di e dell’incredibile concretezza di questo grande uomo, rimangono i sui diari con splendidi acquarelli.
Possono essere a giusto titolo definiti il suo intimo sussurro di amore verso i paesaggi, i popoli e le mille variopinte creature della foresta, e rimarranno l’unica testimonianza scritta e dipinta dei Penan e dei molti animali che non avrebbero mai visto il terzo millennio.
Tutte gli acquarelli sono di
Si posso vedere tutti i meravigliosi acquarelli consultando sul sito ufficiale la pagina dei disegni di Bruno Manser.
E’ stato anche realizzato da Christoph Kühn, un documentario commovente e per certi versi terribile, dal Titolo Bruno Manser – Laki Penan.
E’ stato fatto anche un film, di cui sono venuto a conoscenza molto dopo. Esiste il trailer su Youtube.
Mentre del documentario, che ho visto, posso assicurare la completa autenticità biografica (anzi autobiografica) perché non cerca clamore, rifugge dallo scalpore, dall’epica ridondante ed è un vero diario introspettivo, sonnolento e silenzioso, del film nutro qualche perplessità. Non amo particolarmente i film postumi che celebrano personaggi concreti e riservati e li trasformano in miti. Così si rischia non solo di sminuire il personaggio relegandolo in una specie pantheon leggendario, ma anche la stessa causa della difesa della foresta che rischia di essere divorata, vampirizzata dall’epica cinematografica. Comunque aspetto di vederlo.
Io conservo alcune stampe dei suoi acquarelli, sulla parete del mio letto, e mi commuovo quando ammiro la dolcezza di quegli schizzi e quando penso che molti di quei luoghi e di quelle stupende creature non ci sono e non ci saranno più.
Sono triste quando penso che anche oggi, ogni indignazione e coraggio sembrano sopiti e storditi dal diversivo strategico della civiltà del consumo, (non ci illudiamo che Covid abbia compiuto una metamorfosi morale), volto a celare la feroce tattica del sopruso e della distruzione.
Bruno Manser verrà ricordato un giorno, come l’ultimo grido della foresta pluviale.
Paolo maggioni Conte