Di Martedì del 4 maggio 2021
Nella puntata del 4 maggio 2021da Floris, c’è stata la nascita in diretta di nuove “varianti” qualunquiste e relativiste nel dibattito televisivo. Queste, assieme a quelle negazioniste o revisioniste in atto da anni nel paese si sono unite nel programma a formare una specie di tempesta perfetta dell’imbecillità.
E’ accaduto a metà trasmissione da circa 1:27′ del programma, quando gli ospiti e Floris si sono impantanati in una surreale discussione sulle affermazioni di Fedez al concertone del 1 maggio e di Pio e Amedeo in un loro programma satirico andato in onda su Mediaset. Il dibattito della 7 è uno dei tanti generati attorno alle discussioni sulla famigerata legge Zan sull’omofobia. Non entro nel merito della legge, lo lascio fare a chi abbia un’approfondita cultura giuridica. Mi soffermerò invece sulla dinamica dialettica all’interno del registro di comunicazione. C’è da dire che tutto il programma aveva preso un brutta piega. Qualche minuto prima, una Donati senza pudore pretendeva di promuovere, alla presenza di eminenti virologi come Matteo Bassetti, le virtù degli integratori nella prevenzione dell’infezione da Covid-19! Poi c’era il maldestro e surreale monologo no vax di un dermatologo in vena di dare i numeri. Guardate gli occhi strabuzzati dello scienziato di Genova di fronte alle sue affermazioni, gravissime a mio avviso. Questo era il primo imbarazzo della serata.
Torniamo invece all’argomento. Ci si chiedeva, riguardo alla c.d. “satira” di Pio e Amedeo su gay, neri e ebrei (in una centrifuga di imbarazzanti e volgari luoghi comuni), se non fosse giusto lasciare a tutti la totale libertà di espressione, anche quando fosse lesiva della sensibilità altrui. Basta, si supponeva, che quella libertà non implichi il passaggio diretto dalle parole a fatti che mirino a ledere esplicitamente i diritti di quella persona o esercitare violenza.
La premessa è già di per sé molto inquietante. Si sdogana apertamente la violenza verbale come strumento di affermazione individuale della propria libertà, in contrapposizione al diritto di chi ne è il bersaglio, l’individuo e la collettività come portatori di una sensibilità comunemente accettata. La cosa surreale, è che la domanda falsamente retorica (per usare un brutto ossimoro) sia stata fatta dallo stesso Floris. Come se egli fosse del tutto digiuno e inconsapevole dei meccanismi e delle conseguenze che quella domanda poteva scatenare sul dibattito televisivo di tipo generalista, nel paese dello scontro ideologico permanente.
Capisco che forse il ramo accademico privilegiato di Floris non siano la storia del pensiero occidentale, della filosofia contemporanea e moderna e della dialettica, ma da lì a vestire ingenuamente, dietro il pretesto della provocazione, i panni di un leghista con la clava appena uscito da un bar, ce ne passa. E infatti, nello studio, è piombato il corto circuito mediatico in cui le vittime (loro in buona fede) sono state menti fini ed edotte come la Dottoressa Saraceno, la sagace giornalista Concita De Gregorio e la scienziata aerospaziale Ercoli-Finzi. C’è stata la dolosa irruzione del relativismo Prêt-à-porter, infarcito di luoghi comuni.
D’accordo, c’erano anche “cime” come la Gardini, l’economista Donati, il giornalista Senaldi di Libero, a confondere le carte sul tavolo della discussione. Mi chiedo allora perché invitare sempre quegli azzeccagarbugli negazionisti (su temi così importanti) che reagiscono sempre allo stesso modo, scuotendo la testa (con metodo deliberato imparato nelle scuole di Marketing di Forza Italia) ad ogni cosa che si dice. Ci sarà qualcuno della loro corrente che possa rappresentare il contraddittorio senza scadere nella più ottusa faziosità?
L’unico che sembrava aver avuto immediata percezione della pericolosa trappola dialettica che si stava ordendo ai danni dei telespettatori e del buon senso, è stato il combattivo Furio Colombo, da sempre acerrimo nemico della cultura post-italiana (come il grande Giorgio Bocca) iniziata con l’era Berlusconiana dei culi, botox e marchette.
Per il resto, proprio in virtù di quel corto circuito mediatico, ricercato come sempre dagli opinionisti di destra, è stato un continuo interrompere di tutti su tutti. E dire che per districare il bandolo della matassa di una discussione incentrata sulla presunta satira di due comici (che hanno l’unico torto di non far ridere), sarebbe bastato dire che ci sono cose (le battute su ebrei, neri e gay) che non si devono e non si possono dire. Nel frattempo, infatti, la storia e la cronaca contemporanea le hanno iscritte col sangue nell’immaginario collettivo. Dalla Shoah alle negriere che solcarono i mari per due secoli e produssero schiavitù per altri due. Dai morti in mare nel Mediterraneo a quelli sotto il ginocchio di un poliziotto (deviato va detto). Dai roghi in cui finirono anche gay accusati di essere posseduti dal demonio a quelli tutt’ora perseguitati e uccisi in molti paesi, e la lista potrebbe continuare.
Quindi certo che non si può! La storia urla il suo sdegno perché non vuole ripetersi. La storia è iscritta di riflesso nella nostra coscienza (come l’anticamera della paura che ci salva), e noi siamo appunto i coscienti che non devono pronunciare parole come frocio o negro, perché sono state i contenitori ontologici di antiche tragedie e i moniti di quelle nuove! Non bisogna essere dei geni per capirlo. Non esistono opinioni sull’impiego o meno di queste parole, sul loro potenziale istigante e esplosivo. C’è già una matrice ontologica, palese, lampante, dimostrabile e incontrovertibile che esclude tutte le altre possibilità.
Facciamo un esempio: Se immergo un bastone diritto (rispolverando un po’ di filosofia antica) a metà nell’acqua, non posso sostenere che sia storto perché mi appare tale o perché penso (cosa ancora più grave) che lo sia veramente. Il bastone è e riamane ontologicamente diritto. L’elementare differenza tra la realtà e l’opinione (che nell’esempio del bastone è la percezione) sembra non essere minimamente emersa quella sera.
Poi certo, le opinioni esistono e sono legittime, ma solo su fatti che non siano “incontrovertibili” (passatemi il termine dogmatico). Che non siano, in sostanza, i nuclei aggreganti della convivenza civile, i tasselli fondamentali di una costituzione, di un diritto individuale della persona, di una comunità o i testi della memoria storica e civile.
Si possono esprimere opinioni volgari e offensive (visto che vanno tanto di moda e non se ne vuole fare a meno) solo su cose che non violano i diritti fondamentali degli individui e delle comunità di cui fanno parte.
Poi certo, le opinioni esistono e sono legittime, ma solo su fatti che non siano “incontrovertibili” (passatemi il termine dogmatico). Che non siano, in sostanza, i nuclei aggreganti della convivenza civile, i tasselli fondamentali di una costituzione, di un diritto individuale della persona, di una comunità o i testi della memoria storica e civile.
Si possono esprimere opinioni volgari e offensive (anche se di cattivissimo gusto) solo su cose che non violano i diritti fondamentali degli individui e delle comunità di cui fanno parte.
Nel programma, invece, è andato in scena il relativismo da bar. Quello per cui, se io penso una cosa vuol dire che è vera o peggio, giusta!
Che dire invece riguardo all’etichetta di satira che si vuole attribuire al programma dei due comici?
Prima considerazione.
La vera satira, è da sempre stata indirizzata contro i potenti e non contro gli ultimi, i fragili o le minoranze. Si è sempre scagliata contro i Re e le loro corti, i Satrapi, I giudici dei potenti, i politicanti, i vertici militari o le maschere grottesche rappresentate dai vizi capitali di una società ecc.. Non troverete esempio di satira autentica che faccia dei malati, dei miseri, dei poveri, delle minoranze etniche e di genere il suo bersaglio. Se fosse accaduta nella storia questa capricciosa inversione della satira (cioè la propaganda), si sarebbe estinta la civiltà occidentale con tutta la sua cultura. Per citare un esempio che ho letto di recente (ma ne troverete centinaia di altri anche nel contemporaneo, un nome su tutti, Dario Fo), leggete l’opera satirica (vera) di P.B. Shelley “La maschera dell’anarchia”, scritta da un figlio della nuova aristocrazia (parliamo del 1820 circa) inglese dell’epoca. Fate un paragone. Arriverete alle mia stessa conclusione. Quella andata in onda su Mediaset non è satira.

Seconda considerazione.
In quel dibattito è accaduto che, per l’incapacità di distinguere tra la realtà e l’opinione, si è spostato tutto il dibattito sulla distinzione pretestuosa tra ribalta e retroscena. Questa metafora teatrale in uso nella sociologia, è risultata indigesta e stopposa, perché si è tentato di far perniciosamente passare il messaggio che pensare in privato o dire all’orecchio di un amico, per esempio che i Hitler ha fatto bene il suo lavoro, siano la stessa cosa. Pensate a un villaggio di 20 persone. In due giorni quell’amico lo avrà detto ad altri 18 (è nella natura umana), e non è improbabile che almeno 15 di questi finiscano per crederci. La distinzione tra retroscena e ribalta è subdola proprio perché, come insegna la storia, la seconda è il combinato disposto di ciò che avviene nella prima. Leggete le cronache dei genocidio del Ruanda e della Bosnia Erzegovina del 94, lì c’è la chiave per capire i meccanismi che portano alla violenza (l’escatologia dei massacri). E sono molto più banali di quello che pensano i Signori di diMartedì. Visto che non si vuole capire la gravità, inventiamo una parabola di tipo evangelico. Suonerebbe così:
In un piccolo borgo della Germania orientale, intorno al ’35, scompare un bambino tedesco di soli 5 anni. A quei tempi, come in molte città tedesche, c’era una piccola comunità ebraica. Hitler era salito al potere nel ’33. Passano i giorni e il bambino non si trova. Lo si cerca dappertutto e inizia a crescere la paura e il malumore.
Una sera un contadino mezzo ubriaco con la testa china sul suo ennesimo boccale, comincia a dire che forse bisognerebbe chiederlo agli ebrei, che si comportano in modo strano. Quel modo strano percepito dalla comunità tedesca, era la semplice conseguenza di propaganda a tenaglia e leggi razziali sempre più incombenti. L’avventore mezzo ubriaco, poi, aggiunge di aver sentito (forse dalla bocca dell’innocuo amico) che gli ebrei fanno sacrifici umani e che mangiano i bambini.
Certo! dicono tutti, quell’uomo è ubriaco. E tutto muore lì. Poi, però, accade che gli avventori di quella sera raccontano in decine di altre osterie la stessa storia. Finché un giorno, un gruppo armato di forconi si presenta a casa di una famiglia ebrea, quella che si comportava in modo più strano di tutte le altre e decide di farla finita. Il resto è storia.
I soliti relativisti del bar seduti al tavolo dei negazionisti diranno:
“Vabbè, che c’entra Hitler con un ubriaco? E poi era scomparso un bambino, forse avevano ragione ad incazzarsi, avrei fatto lo stesso anch’io! Io per mio figlio questo ed altro! Ecc..”
Intanto una parabola è solo una storia che vuole raccontare qualcos’altro, come le favole dei bambini. E poi ricordiamoci che nella realtà, gli atti più barbari hanno sempre avuto origine da un nucleo primordiale che si chiama delazione, come accade nella nostra parabola.
Ma non finisce qui. C’era la ciliegina sulla torta. L’esperto di diritto che fa la distinzione tra l’opinione e il reato e porta l’esempio, offensivo della nostra intelligenza, che tutto dipende dal contesto. E lo fa prendendo due estremi tra loro inconciliabili. Dice(sentite un po): “E’ chiaro che se dico ad un amico a casa mia, ridendo (haahaha!), ti butto nel forno! è diverso che minacciare di farlo ad un Ebreo in Pubblico”. Ma che c… (Beep) significa? E’ come dire: Se dico che le parole sono pietre, finché non uso la pietra che problema c’è?
comunque, leggetevi questo libro, per aver chiaro quanto sia grave fare satira su una categoria che ha subito il più grande genocidio del 20esimo secolo!

Per concludere su Fedez e sulle cose che ha detto al concertone. Anche lui ha detto cose molto forti in passato e questo è grave, visto il seguito e l’influenza che produce sulla sua generazione. Si dice però pentito e riconosce di aver sbagliato. Sarà vero? Viene accusato, a dispetto del pentimento, di mantenere, per interessi economici, i video e le canzoni incriminati su internet. Io non l’ho verificato ma se fosse vero, inviterei Fedez a toglierli con buona pace di tutti.
Comunque Fedez ha il merito di aver mantenuto viva l’attenzione sul fenomeno. E sulla presunta censura della Rai ai suoi danni, mi fido più di Fedez che di una Rai asservita agli interessi di partito.
Poi l’affermazione surreale del giornalista Sallusti, in merito sempre alla vicenda Fedez, questa volta dalla Gruber. Sul fatto, secondo lui, che siano sempre gli artisti e intellettuali di sinistra a poter dire la loro perché hanno il monopolio della verità. Ha risposto l’acuto Scanzi con una memorabile bordata dialettica (ho goduto così tanto che sono riuscito persino a perdonargli il presunto salto di fila vaccinale):
“Sallusti! non è che sono sempre gli artisti di sinistra a farlo, è che non esistono quelli di destra! Sono 4 secoli che la destra non produce un intellettuale o un artista, su via!”
Certo era un iperbole. Certo qualche intellettuale di destra c’è stato, ad esempio Heidegger o D’Annunzio. Ma sono così pochi, che basterebbero a riempire un ristorante in pieno lock down senza infrangere le regole del distanziamento! Questa è la verità.
Vi assicuro, ci sarebbe voluta una roboante ovazione, mi sarei accontentato anche di una di quelle registrate negli sketch americani. Scanzi, Chapeau!