Dedico questa mia prosa a tutte le persone che soffrono di una lunga malattia chiamata SLA e ai familiari che li assistono senza clamore mediatico e nell’indifferenza della politica. A tutte le famiglie che assistono i loro cari in quei dolorosi anni.
Arrivi in pieno giorno, tu
Signora storpia e beffarda
che del tempo fai il tuo capriccio
e della terra un capezzale di sabbie mobili,
e nel lento e inesorabile contorcimento
trasformi i giorni degli amati in lustri.
Con un colpo di mano alle carte del fato,
prendi tutto tranne la morte
perché con essa indugi e sai attendere,
inesorabile e beffarda signora.
Prenditi il corpo ma lascia libera l’anima!
non ti bastano i giorni seminati a dolore
e la strada lastricata di insulti,
in fondo alla quale il severo lutto saluta?
Non ti basta aver posato una pietra tombale,
su coloro, scelti fra pochi,
che attorno alla tua vittima
hanno fatto di immani sofferenze
sofferte virtù?
Di aver escluso gli uomini altri e tutti?
i quali non hanno percezione
di quell’ oscuro e riservato patimento,
se non attraverso i diversi stadi della sofferenza?

Hai tessuto attorno a te,
una tela impenetrabile ai molti,
divorando lentamente
vittime e ospiti forzati
nel tuo macabro gioco.
Ora, che non ti resta che un corpo
sei già annoiata del tuo mortale abbraccio
almeno quanto noi del dolore,
con esso, il dolore, noi ammicchiamo da sempre,
e tu non lo sapevi.
Infante ingenua e spietata.
Tu non sapevi che l’ultima tua mossa fatale,
avrebbe decretato la sua e nostra liberazione,
liberazione del piangere e anche del ridere,
sui bei giorni che furono,
e questa è l’ultima nostra mossa beffarda.
Paolo Maggioni Conte