Leggendo il Prometeo Liberato di P.B. Shelley, mi sono imbattuto in uno dei monologhi recitati da una delle furie nell’Atto I. Le furie assieme agli spiriti, gli echi e i fauni, costituiscono le mille modulazioni antagoniste all’interno della tragedia. Ecco ciò che recita una furia in risposta a Prometeo ancora incatenato alla rupe, traduzione dall’inglese di Francesco Rognoni. Credo che in questi versi sublimi sia condensata tutta la tragica inconcludenza della condizione umana. Per spiegare il malcostume, la miseria intellettuale, la corruzione, l’indifferenza e la violenza, basterebbe impararli a memoria e recitarli in ogni inutile discussione tra amici:
In ogni cuore umano, il terrore sopravvive alla rapina che ha ingozzato:
quelli più in alto hanno paura
di cose in cui a ragione non dovrebbero neppure credere:
L’ipocrisia e il costume fan delle loro menti
i templi per il culto di religioni ormai consunte.
Essi non osano pensare il bene per la condizione umana, ma non lo sanno.
I buoni mancano di potere, se non per piangere sterili lacrime.
I potenti mancano di bontà, che è ben più grave.
Ai saggi manca l’amore, e la saggezza a quelli che amano,
e così tutto il meglio si confonde al peggio.
E molti ricchi e forti vorrebbero essere giusti,
ma vivono fra il loro prossimo che soffre come incapaci di sentire: essi non sanno quello che fanno.
Paolo Maggioni Conte