I moti dell’animo umano,
alle fonti sotterranee dello spirito,
si specchiano, ma non si riconoscono,
come veloci volute di vapore costretto,
si dileguano sulle onde sinuose di un’aria instabile,
quanto la loro indole.
Essi sono, ora, qui, e men si vedono,
più forte è il loro grido nascosto.
Come spettri aventi perso il senno,
sferzano la buia collina del cuore.
Come figli reprobi, che nessun padre vuole,
si snodano impazziti, tra rivoli senza direzione,
né radici, né terra.
Cercano ossessivamente, i meandri dell’anima immoti,
dove una quiete tiepida del tempo giace,
ma vi arrivano con l’impeto, di quel vento senza sospiro,
che tutto trasforma, che mormora e poi tace.
Sono nuvole farcite di cani,
dal ringhio schiumoso.
Una muta balorda che null’uomo comanda,
sguinzagliata su oceani rigonfi di verde e nero,
dai mille riccioli di spuma,
errante, in cerca di terra impossibile.
E quando la trovano, là,
quell’isola di muschio, felci e betulle,
dove i raggi mattutini stillano rugiada,
ambra e argento,
I moti dell’animo vi scendono,
con la grazia guardinga di un colibrì.
Ma quell’isola,
dalle gambe di sughero,
non è pronta a sopportare il peso,
di quell’ospite addensato, di zavorre e inquietudine,
e affonda, come tra braccia di schiuma e rabbia di un’idra,
che con moto lento ma certo, opera il suo inghiottimento.
I moti dell’animo cercano allora, invano riparo,
dopo duemila anni di etere e insonnia,
sui campi elisi della propria fanciullezza,
su prati sferici adorni di ogni delizia,
per scoprire che ciò che rimane,
in quell’eterno santuario, della breve gioventù,
E’ troppo veloce per loro,
e fugge come saetta,
in un suono incorniciato di risate nascoste.
I moti dell’animo vagheranno così,
tra corde simili a membrane del tempo,
e non troveranno mai il proprio,
ma solo quello di cui son figlie funeste,
il tempo che di loro non è già più.