Ho scritto questa piccola poesia di prosa nel 2015, dopo la Vendemmia 2015 a cui ho partecipato. E’ stata un’esperienza indimenticabile, ho visto nascere i primi grappoli, e li ho assistiti fino alla pigiatura e alla vinificazione. In questi tempi di Coronavirus, non posso non pensare con nostalgia a quelle giornate passate cantando tra le colline, a potare e raccogliere i preziosi. Quelle immagini mi tengono compagnia , in questi giorni di quarantena e lutto.
Stavo li e giacevo nel vento torrido del meriggio,
Ai piedi del sapiente fico,
Custode silenzioso della vite che dei colli è sovrana.
E pensavo in cuor mio, quanta fatica frammista ad amore,
si nasconde dietro le mani premurose,
di questi fieri viticoltori né padani né pedemontani.
Mani forti come i tralci dai lignei contorcimenti,
che hanno forgiato una terra di argilla e mosto.
Non mi ci volle molto, seppur con lotta,
per entrare nel guizzo deciso ma armonioso
del lavoro di gruppo della vendemmia,
Retto e certo come le linee dei filari,
che sui solchi di un grande pettine,
acconciano questi colli di gentili virtù.
Dall’eco padano rimandano colori
e rassicurante fermezza,
a volte con cieli di zucca
o con albe foderate di fronde settembrine,
ma sempre con quell’indomabile vocio
dal sapore antico, che rimbalza flebile
tra i seni fecondi di promessa purpurea.
Esso riecheggia misterioso, e confonde
Per il riverbero delle sue mille direzioni.
Sembra il segreto nascosto di queste genti,
Che si fanno trovare da chi le sa ascoltare.

















