
Dedicato a mia moglie Claudia.
Quante volte l’alba di alabastro,
Ha ridisegnato il tuo volto dormiente,
Sulla tavolozza delle nostre lenzuola,
Come inchiostro di china,
Assorbito da una carta sconosciuta,
Ho sentito espandere i tuoi sogni.
Ho tutte le volte ammirato il tuo dolce dormire
E il dispiegarsi della grazia di ciò che ha senso
Con la simmetria di ciò che è bello,
E constatato con stupore sul tuo viso,
Come il velo di una letizia certa ma discreta,
Che tutte le ombre faceva svanire, eccetto quelle sublimi
Di chiari e di scuri, che un fotografo divino faceva arte.
Quale gaiezza godere di quell’anelito eterno,
che inspira ed aspira,
Accarezzando il sipario dei secondi,
Come un vento lieve, tiepido e di colpo immoto,
Che divarica leggiadro i veli
Su una radura lontana,
Dove una fanciulla dolcemente riposa.
E quella sei tu!
Quante volte ho seguito I confini del tuo volto,
Per scoprire così, Il vero perimetro della mia casa,
Ed il suo giardino fecondo, che ogni mattino da levante
Di te distilla rugiada ambrata.
Sì, io sono come rugiada, forse sono solo rugiada
Che nell’alba tua si condensa,
Nella fragranza di quell’attimo, che notte non è più,
Ma nemmeno giorno.
O, bramavo, come crisalide
In una vita di attesa
Per un sol giorno di volo,
Di tuffarmi dietro le persiane di giada
Dei tuoi occhi chiusi,
Fino al tuo sguardo speculare sui tuoi sogni.
Quel potenziale enorme di vita,
Scolpito nel talco di comete,
L’ho percorso con un dito,
Assecondando il tuo volto
Nelle forme ibride di infinite geometrie,
Ed ecco il regno di rocce porose e fiori ameni,
I piccoli avvallamenti lacustri dei tuoi occhi
I pistilli neri delle ciglia in fiore
Che ondeggiano al polline dei miei sussurri
Prima che diventino sogni.
E poi il tuo naso patrizio,
La cui perfezione
Sta nel dritto che divaga leggermente.
E così in quell’alba più fulgida
Ho ridisegnato i tuoi tratti
Per arrivare al tuo cuore