Quella che segue è la critica del Film “Freedom” di Peter Cousens della rivista “The Hollywood Reporter” , a cui segue un mio giudizio da semplice spettatore:
Il dramma a tema religioso di Peter Cousens intreccia la storia immaginaria di un gruppo di schiavi in fuga sulla Underground Railroad con la storia vera di John Newton, il capitano della nave schiava che compose “Amazing Grace”.
Non sorprenderti se ti ritrovi a canticchiare “Amazing Grace” dopo aver visto il dramma a tema religioso crudele e sovraccarico di Peter Cousens.
Intrecciando un racconto immaginario di una famiglia di schiavi in fuga dalla Virginia attraverso la Underground Railroad con la vera storia di John Newton, il capitano della nave schiava che ha subito una crisi di coscienza e ha continuato a comporre il famoso inno, Freedom è una lezione di storia cinematografica eccessivamente sentimentale più adatto a gruppi di chiesa e scuola.
Cuba Gooding Jr. interpreta il ruolo centrale di Samuel, che nel 1856 fugge con la sua famiglia, tra cui sua nonna Adira (Phyllis Bash) e la moglie Vanessa (Sharon Leal), dalle grinfie del loro malvagio proprietario di schiavi (David Rasche) il cui nome Jefferson Monroe, fa riferimento non a uno ma a due presidenti degli Stati Uniti. Per recuperare i fuggiaschi, Monroe assume il cacciatore di schiavi veterano Plimpton (William Sadler, efficace come al solito), che accetta con riluttanza il lavoro anche se insiste di essere “in pensione”.
Aiutati nel loro viaggio da varie figure tra cui l’abolizionista quacchero, nella vita reale Thomas Garrett (Michael Goodwin), e, facendo una breve apparizione per tenere un discorso ispirato, Frederick Douglass (Byron Utley), i fuggiaschi incontrano un colorato gruppo di attori itineranti. Il veterano di Broadway Terrence Mann (Les Miserables) interpreta il loro leader. Usano un metodo particolarmente teatrale per nasconderli dai loro inseguitori.
Si scopre che Samuele è un non credente scaltro che ha poco utilità per i fedeli che aiutano lui e la sua famiglia. Quindi, nel tentativo di ripristinare la sua fede, Adira racconta la storia del suo bisnonno Ozias (il cantante Jubilant Sykes), che un secolo prima era su una nave guidata da Newton (Bernhard Forcher) che trasportava schiavi dall’Africa alle colonie americane . L’epifania di Newton, una storia raccontata con un effetto drammatico, molto Più avvincente nel film “Amazing Grace” del 2006 di Michael Apted, ispira Samuel a riguadagnare la sua fede.
Una simile trasformazione spirituale è stata subita dal cacciatore di schiavi Plimpton, che incontrando i fuggitivi nei momenti topici del film impedisce a uno dei suoi uomini di sparargli, dichiarando che non dovrebbero esserci più “uccisioni!”
Intrecciando goffamente le sue trame drammatiche, Freedom riduce ulteriormente la sua efficacia con la sua pletora di canzoni e inni evangelici. I suoi personaggi si rompono in canzoni così spesso che il film avrebbe potuto percorrere direttamente la strada teatrale per chiamarsi “Libertà : Il musical.
Mi inchino alla critica, più conoscitrice di me della cinematografia e della cultura americana. Ma l’idea che uno spettatore si fa di un film spesso può essere distante dal giudizio della critica. Se avessi dovuto leggere questa critica prima di guardare il film, avrei senz’altro rinunciato. l mio giudizio è questo:
Freedom, del regista Peter Cousens, è uno dei film più poetici che abbia visto negli ultimi anni. Ho visto tanti film sull’epoca della schiavitù in America. Sono cresciuto con serie televisive come Radici del 1976 – chi non ricorda Kunta Kinte – e molti altri film si sono succeduti da allora.
Sarebbero da citare tutti, perché ognuno – secondo il proprio sentire e la propria prospettiva – ha dato il proprio contributo alla comprensione di un fenomeno che ha visto nascere, vivere e morire intere generazioni di schiavi nelle negriere e nelle piantagioni degli stati confederati.
Freedom ha provocato in me qualcosa che non avevo mai provato prima, qualcosa di nuovo. Un legame virtuoso e profondo tra il vissuto dei personaggi e me come spettatore. In altre parole l’immedesimazione. Sembra banale, ma non accade cos spesso in un film. Un’immedesimazione genuina e sincera, il sentimento compassionevole alternato a indignazione, di quelli che ti farebbero urlare. Poi il regista ha usato un “escamotage” stilistico che sconfina nell’ibridazione narrativa, ma che è la sua forza, la sua potenza evocativa.
Nei momenti di maggior pathos e sofferenza, infatti, interviene a cantare, in una forma di musical, e a mio avviso lo fa in maniera non invasiva, Jubilant Sykes – che interpreta anch’egli uno schiavo sulla nave. E’ il bisnonno della nonna del protagonista al presente narrativo.https://www.youtube.com/embed/jkcFTI9_4Pc?wmode=opaque&rel=0
Canta brani struggenti come “City Called Heaven” and “Motherness Child”. Lo fa con la dolcezza di una nenia che culla le anime degli addolorati. Pare, in quegli istanti, di trovarsi in una pittura romantica – complice naturalmente anche l’ambientazione storica – enfatizzata dalle espressioni e dai gesti dilatati del musical.
Questo è che il colpo di genio del regista. Essere riuscito – narrando vicissitudini toccate da molti artisti – a farlo sfuggendo dal solito avventurismo storico, senza per questo scadere nella rappresentazione teatrale e musicale pura. Questo è invece l’aspetto che gli è valso più critiche, che non comprendo fino in fondo. Le canzoni ricorrenti segnano per me solo il tempo del vissuto umano nei suoi istanti cruciali. Come un rintocco ciclico di momenti salienti di sofferenza umana. Momenti salienti che restituiscono contemporaneamente dignità ai personaggi, spogliandoli dalla necessità di compiere azioni o dire parole funzionali alla narrazione.
A mio avviso, invece, le canzoni, definite pomposamente sdolcinate, che sembrerebbero rendere lento e noioso il film, quando non ridicolo, sono per me delle bellissime note poetiche.
Sono come delle pennellate, forse un pò manieristiche, ma che fanno luce sui singoli individui apparentemente irrilevanti, solitamente ridotti in altri film a comparse senza vissuto, funzionali ai protagonisti e ai casting più ambiziosi.
Questi canti mettono in risalto le figure umane, come la luce e le ombre metterebbero in rilievo una pietà di Michelangelo e lo fanno con delicatezza e amore.
Qui arriviamo al punto. Per la critica, quei canti spirituals sarebbero forse più consoni ad una seduta pedagogica di tipo evangelico che ad un film. Per me no. Trovo questa affermazione in pò ingenerose neri confronti del coraggio che il regista ha mostrato. E comunque che male c’è ad utilizzare canti che affondano le proprie radici nella schiavitù, in un film che la vuole raccontare? Tra l’altro lo stesso cantante Jubilant Sykes, è afroamericano e co-protagonista nel film. E si percepisce il suo coinvolgimento emotivo in una narrazione che evidente ha riguardato anche i suoi antenati. La sua voce poi, non ha bisogno di commenti e compensa molte delle pecche che si vogliono trovare. Certo è un film adatto a chi ama commuoversi e versare lacrima. E anche in questo che male c’è?
Paolo Maggioni Conte