IL VIAGGIO È NEL NOSTRO DNA

Quante volte ascoltiamo la attuale propaganda populista dire sull’immigrazione sulle sponde “nord” del mediterraneo, che siamo di fronte ad un’invasione, una catastrofe quale l’umanità non conobbe mai. In realtà sono loro a non conoscere la storia e, forse, tornare sui banchi di scuola gli farebbe bene. Ricorderebbero allora che l’umanità non è nuova a questi fenomeni di massa. Venivano vissuti dai contemporanei di ogni tempo, che li subivano, come incontrollabili e spaventosi quanto ineluttabili. Da coloro che li compivano (gli immigrati) invece, erano vissuti come legittimi e necessari, perché alimentati dalla sorgente infetta di guerre, fame e carestie oppure dalla sorgente limpida della speranza. Per questi ultimi questa è, è stata e sarà sempre una questione di sopravvivenza nella peggiore delle ipotesi, o di ricerca di un posto migliore dove far crescere la propria famiglia e realizzare i propri sogni, nella migliore.

Poi c’è una ragione più profonda, omessa con svergognata impenitenza da coloro che oggi propugnano il trompe l’oeil populista dell’invasione. Questi non dicono, sia chiaro, più per un’avvilente ignoranza della storia umana che per esigenze di comunicazione, che questa meccanica innata (e se vogliamo misteriosa) a procedere (come io definisco la migrazione umana), è in un certo senso iscritta nel DNA di Homo Sapiens Sapiens, fin da quando attraversò l’Africa per colonizzare l’intero emisfero settentrionale, in parte già popolato da un suo cugino intelligente, evolutosi da un antenato comune. Parliamo dell’Homo Neanderthalensis (ovvero l’uomo di Neanderthal), poi estintosi intorno a 40.000 anni fa.

Nella Storia poi, questi fenomeni accaddero a cicli regolari. Come dal 1.500 al 1.200 A.C. ad esempio, quando ripetute invasioni dei c.d popoli del mare, provocarono, assieme ad altri fattori (climatici e tellurici), il crollo definitivo di alcune civiltà, come la minoica e la micenea, le cui gesta furono cantate da Omero quattro secoli dopo. 

Come oggi, si trattava di continui arrivi, che sommati nel corso dei decenni, finirono per destabilizzare l’intero assetto politico del mediterraneo di allora, scatenando conflitti e rallentando fino a fermarle intere economie basate sul commercio e su un preciso equilibrio demografico. 

Cito solo uno dei numerosi articoli sull’argomento: 

“Nella seconda metà del XIII sec. a.C., infatti, tutta l’Europa fu interessata da grandi movimenti migratori, dovuti forse alla pressione di nomadi provenienti dal nord (è un dato accertato, infatti, che a quell’epoca dei bruschi cambiamenti climatici spinsero intere popolazioni a spostarsi. In questo periodo, a causa sia della spinta delle genti del nord che dei periodi di carestia che si verificarono, nonché a seguito della inondazione che devastò la Sardegna costringendo una parte della popolazione autoctona (gli Šardana) a migrare, il Mediterraneo fu sconvolto dalle invasioni di una coalizione di predoni guerrieri noti come «Popoli del Mare». 

I Popoli del Mare invasero la penisola ellenica, già indebolita da guerre intestine, e cancellarono la civiltà degli Achei (risparmiando solo Atene); quindi, proseguirono verso l’Asia Minore, saccheggiando forse per l’ennesima volta la città di Troia. 

In Asia Minore ai Popoli del Mare si aggiunsero anche una massa di profughi che avevano abbandonato le loro terre a causa delle precedenti invasioni e che le fonti chiamarono Danuna (Danai), Akawasa (Achei) e Tjeker (Teucri). 

Essi devastarono l’Anatolia, distruggendo l’impero Ittita, la Siria e Cipro e vennero fermati solamente dal faraone d’Egitto Ramsete III.

E che dire del declino geopolitico dell’Impero romano d’occidente, quando ondate e spinte migratorie sempre più consistenti da oriente, finirono per rendere impossibile al governo imperiale il controllo e il mantenimento dei confini.

Nel IV e V secolo, ci furono fenomeni di portata colossale per l’epoca, come l’attraversamento dei confini orientali dell’impero da parte di intere carovane di popoli germanici. Così i goti ad esempio, che attraversarono il Danubio in 100.000, tra uomini, donne e bambini, in cerca di nuove terre arabili, climi migliori, ma soprattutto per sfuggire alla scorribande sempre più nocive per l’economia e la stabilità del loro sistema sociale e dei loro vicini germanici e celtici. Quello che dobbiamo ricordare non è solo la parte catastrofica e scenografica della storia, ma i suoi risvolti effettivi su una determinata società. Si pensa a torto che le immigrazioni di popoli nella tarda età imperiale furono distruttive, anche se in effetti sono sopravvissute nel nostro immaginario collettivo tramandate nei secoli come “Invasioni barbariche”. Nessuno nega che ci furono episodi di inaudita violenza e razzia come il sacco di Roma, all’inizio del 400 (un vero trauma per i romani, che ne tramandarono il terrore per sempre) che che decretò la fine della leggendaria inespugnabilità di Roma. Ma ci furono anche episodi di pacifica assimilazione o convivenza.

Dobbiamo dire che i popoli germanici erano una galassia molto variegata. Molti di essi erano già cristianizzati e nutrivano una vera e propria ammirazione per le civiltà greca e romana. Vissero sempre il loro rapporto con Roma in una sorta di complesso di inferiorità che era un misto di rancore e desiderio di rivalsa da un lato e di rispetto, riverenza e sudditanza dall’altro.

I romani dal loro canto, essendo dotati di cinico pragmatismo (oggi la chiameremo realpolitik), si approfittarono spesso di questo rapporto. Se da un lato avevano bisogno di loro per rimpolpare i ranghi di un esercito mai sufficiente e una popolazione demograficamente in declino, dall’altro li disprezzavano e li trattavano da vassalli o come ultimi dei sudditi a seconda delle convenienze geopolitiche. Cosa che fecero con gli stessi goti, usati prima come ammortizzatori ai confini orientali, contro le avanzate dei bellicosi popoli steppici (ad esempio gli unni) e poi fatti morire di fame quando, essi, spinti a loro volta dalle orde uraliche, entrarono nei confini imperiali reclamando terre e protezione da quelli (Roma) che avevano ingenuamente considerato leali alleati. 

Quello che conta è che quello che i singoli individui percepiscono sulla propria pelle con spavento (e legittimamente a fronte dei brutali episodi citati), la storia lo appiana come integrazione e assorbimento, e lo fa che ci piaccia o no, con i suoi tempi, ma inesorabilmente. Con i germani la storia non andò diversamente. Essi avevano portato alla caduta del potere centrale e provocato lo sbandamento politico e militare, ma non distrussero l’impianto giuridico e amministrativo che ammiravano, ed anzi lo fecero proprio dando il via a regni e imperi che anticiparono la futura geografia dell’Europa. Fu proprio grazie a questo rimescolamento di popoli, sangue nuovo divenuto necessario alle civiltà antiche ormai consunte, che l’Europa entrò in una nuova era di sviluppo.

Che dire ad esempio dei vandali, che percorsero l’Europa in senso antiorario per approdare in Africa settentrionale, da loro considerata terra promessa, fine ultimo di un intero popolo. Si impadronirono dei regni punici con una determinazione e a volte ferocia tali che, ancora oggi, quando parliamo di chi distrugge senza pietà una cosa, usiamo il termine “vandalo”. Certo, anch’essi furono spinti dall’opportunismo geopolitico, dalla fame e dall’avidità economica (le terre puniche erano il granaio dell’impero), ma non dimentichiamoci della spinta costruttiva e ideale, la sola alla fine, capace di far sopravvivere un popolo a tutto il resto e di far portare a termine una così incredibile missione (un popolo fatto di carri, cavalli e molti piedi che percorse 10.000 km in 5 zone climatiche diverse, devastate da guerre e morte).

Credo urga mettere a tacere, i pericolosi demiurgi delle facili ricette (guarda caso tutte improntate alla chiusura) e coloro che lanciano manifesti sullo scontro di civiltà religiosa. Quale civiltà poi, quella europea, che ha escluso i valori cristiani dalla sua costituzione, perché se ne vergognava? a favore dei valori invece materialisti, anche quando questi sono stati la causa della sua crisi morale ed economica? 

Oggi ci troviamo in una dinamica molto simile, ma potremmo evitare il disastro, semplicemente affrontando il problema grazie alle nostre conoscenze, alla tecnologia, alla cultura e alla responsabilità, nella consapevolezza che il fenomeno non si può arrestare, né con la forza, né tanto meno con la propaganda. Chi fugge dalla fame, guerra o persecuzione, per una vita migliore, non può sentire ragioni, se non quella dell’arrivare al domani, a qualunque costo. Lo dimostra il fatto che le ondate successivo, malgrado siano pienamente consapevoli che quelle che le hanno precedute abbiano spesso avuto tragici epiloghi, affrontano lo stesso il periglioso viaggio. Possiamo combatterli, come fecero gli egizi con i popoli del mare, subirli, come fecero in molte aree devastate dell’Egeo, o cercare di condividere con loro la crisi epocale che affrontiamo, come accadde durante la disgregazione dell’Impero romano d’occidente. L’Egeo, dopo questi sconvolgimenti, ci mise ben 700 anni per rifiorire nella Grecia classica del V e IV secolo, ma lo fece. 

Ricordiamo inoltre, per smontare una volta per tutte, il sentimento etnocentrico dell’occidente, che questi fenomeni, oggi, stanno riguardando l’intero globo. Mentre barconi partono dal Nord Africa verso l’Europa e schiere appiedate si accalcano ai confini balcanici dell’Europa, boat people nel sud est asiatico compiono imprese disperate (e muoiono a migliaia) per raggiungere l’Australia che, proprio come noi, li ferma e li confina in isole infernali, prima di rispedirli a casa. Ricordiamo poi i treni della morte (come il treno del Messico chiamato “la bestia”) che dall’America centrale portano vagoni di disperati verso gli Stati Uniti, molti dei quali non arriveranno mai e si perderanno nel “nulla” di gang e cartelli. E i rohingya della Birmania? tenuti, dopo esser fuggiti ai massacri dell’esercito birmano, nel limbo di fango e discariche dei campi appena oltre il confine del Bangladesh. E gli Oromo dell’Etiopia? questi ultimi che attraversano ogni giorno e a piedi, i deserti più roventi della terra, passando per lo Yemen, la zona in guerra più pericolosa del medio oriente, per tentare di arrivare invano in Arabia saudita. Molti muoiono, senza nome e sepoltura, nelle sabbie fritte di Gibuti. E altri ancora..

Questo non significa non ammettere che questo fenomeno finirà per destabilizzare (semmai ce ne fosse bisogno) l’intero mediterraneo, l’Europa o il mondo intero, ma significa anche superare la dolorosa contingenza, con le armi del soccorso caritatevole e dell’emergenza, per cercare poi, soluzioni davvero a lungo termine, che consentano di assorbire nuove popolazioni, portatrici non solo di crisi, ma anche di pace e nuove idee, e di aiutare quelle rimaste in patria. Io vivo in un quartiere popoloso e popolare della periferia sud est di Milano. Vedo ogni giorno facce nuove venire da fuori. Quando cammino per strada, incontro sempre più spesso donne con il velo, che nel nostro immaginario distorto rappresentano la sintesi di uno scontro di civiltà imminente, perennemente ingozzato dallo spauracchio terroristico. Inizialmente inquietava anche me vedere tanti stranieri e donne con il velo. Eppure piano piano, è diventato per me un fatto abituale e comincio a vederle come un apporto nuovo, una novità, come la prospettiva di un nuovo tipo di società. Immaginiamo cosa accadrà tra una generazione. Scontro e guerra vs integrazione cooperazione. Non abbiate dubbio, sul lungo periodo, vincerà la seconda, come ho cercato di dimostrare nei paragrafi precedenti. 

Voglio chiudere ripetendo quanto detto all’inizio, e cioè che la spinta innata a procedere oltre è iscritta nel nostro DNA. Il simbolo conclusivo (a me particolarmente caro e che mi riempe il cuore di sogni ed emozioni) si chiama Voyager 1. E’ La sonda lanciata negli anni 70 e che ora, dopo aver compiuto una straordinaria missione alla scoperta dei giganti gassosi del nostro sistema solare, si trova ormai a 20 miliardi di chilometri dalla terra e si è addentrata nell’ignoto spazio intergalattico, oltre l’eliosfera. E’ il simbolo meraviglioso di questa spinta a procedere, tipica della razza umana. Essa, la sonda, viaggerà per milioni di anni, forse persino miliardi di anni, ai confini dell’universo, sempre, inesorabilmente e senza che nulla possa fermarla, a parte un improbabile frontale con quale asteroide. E anche quando e se l’umanità dovesse essere estinta da milioni di anni, e qualora una civiltà extraterrestre dovesse nel frattempo intercettare la sonda, l’unica cosa che risalterebbe ai suoi occhi intelligenti è che il misterioso mittente doveva quanto meno nutrire un desiderio incontenibile di esplorare e conoscere oltre il limite del possibile e dei rischi, persino oltre la propria sopravvivenza. Troverà un disco d’oro con impressi i saluti, i canti e i suoni di tutte le culture umane, e l’unica cosa che gli riuscirà di capire è che, al di là delle differenze linguistiche e culturali, l’uomo concepiva se stesso, agli occhi dell’universo, come un’unico popolo, un’unica specie.

Voyager Golden Record
Il Voyager Golden Record – Fonte Wikipédia Public Domain

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