Viviamo un momento storico dove le sabbie mobili del relativismo ci spingono sempre verso nuove prospettive attraverso cui giudicare la realtà e i principi, spostando l’asticella ora più in alto, ora più basso, spesso a seconda del vento culturale o peggio delle mode. La concezione filosofica è morta, e questo da secoli e secoli. E’ sopravvissuta soltanto come simulacro materiale, nelle moderne applicazioni delle scienze, la tecnica e la sua emanazione ultima, la tecnologia. Per chi credeva nella verità incontrovertibile capace di spiegare l’origine e le cause del divenire di tutte le cose, nulla è più possibile se non attraverso una delle figlie gravide di promessa felicità, unica rimasta nel pantheon delle categorie ideali ed etiche, la moderna scienza. Per chi crede invece in un Principio creatore preordinante a tutte le cose (per me Dio) tutta ritorna alla fede. Il rischio altrettanto grave però, di questi tempi, è quello di cadere nel dogma religioso come strumento di antagonismo, di fuga dal caos e dall’imprevedibilità del divenire, e non come convinzione autentica. Chi ha fede oggi, deve ricercare, non senza lotta e strenua sofferenza, di ricomporre il mitocondrio della fede prima che la filosofia moderna tentasse di inserirlo in una delle possibili configurazioni del pensiero.
Tornare alle radici
Questo per il cristiano di oggi, ad esempio, significa urgenza di tornare alla radice del proprio credo, quello delle prime comunità cristiane d’oriente, forse persino al tempo degli Esseni, per dissotterrare dalle melmose esequie dell’epoca odierna, tutto il senso storico, filosofico e spirituale del suo credo.
Proprio perché, nemmeno io, potevo essere esente da questa crisi, ho sentito il bisogno di tornare a questa radice, soffrendo, lottando, a volte disperandomi. E così piano, piano, ho cercato di recuperare la capacità perduta di meditare, pensare, elaborare e ricercare un dialogo silenzioso, senza storia e spazio, con l’ amato Dio e il suo “uomo leggiadro” come mi piace definirlo, leggendo i passi di Giobbe, Ezechiele, Isaia, ma soprattutto Daniele. Perché per me Daniele? Daniele ha vissuto in un tempo dove il mito e le cronache erano praticamente la stessa cosa, dove l’interpretazione di spaventosi e zoomorfi sogni premonitori decretava il successo o la rovina di intere classi sacerdotali, assieme a satrapi e re mesopotamici.

The-Prophet-Daniel-from-the-Ceiling-of-the-Sistine Chapel-Michelangelo Fonte Wikipédia public Domain
Epoca, in cui coloro che riuscivano ad interpretare i sogni di un grande tiranno erano investiti di poteri magici, profetici e, come per Daniele a Babilonia, si era persino disposti a riconoscere il loro unico Dio, il Dio di Israele. E’ così Daniele diventa consigliere fidato di Nabuccodonosor prima e del figlio Baltazar poi. Non è il solito mago di corte, ma colui a fianco del quale Dio appare in tutta la sua potenza e interviene nella storia, senza preoccuparsi dei terremoti provocati dalla sua voce che squarcia la volta celeste seguita da Angeli risoluti.
Così Yhwh interviene per mezzo di angeli per salvare gli ebrei dall’inestinguibile fornace cui erano stati condannati per essere arsi vivi (grazie ad una cospirazione di corte ordita contro gli ebrei che poi si ritorse contro gli stessi fautori). Gli angeli sono forti, decisi, protettivi e sollevano fisicamente Daniele dal suo torpore ogni volta che egli cade la faccia a terra, in preda al terrore, prima che Dio gli rivolga la parola. Un Dio, di cui l’uomo aveva timore, che non esitava a punire l’insolenza, prima di uscire lentamente ma inesorabilmente dallo spazio fisico di un’umanità esangue di iniquità. Dio parla a Daniele senza remore, senza parabole, con un tono che si può intuire 2.700 anni dopo; paterno, severo, irrevocabile, istigatore e castigatore, premonitore. Ma non sceglie a caso Daniele, perché è un Dio Sapiente e saggio, riconosce in Daniele quella dote di responsabilità, onestà, perseveranza, ottemperanza, non rituali ma spirituali. Compassione, dolcezza, timore di Dio e soprattutto, umiltà.
Dio “esige” solo l’amore
Dio esige l’amore e la dolcezza che mai gli vengono corrisposte nella storia. Dio cerca come un ossesso, nel deserto dell’uomo, un pozzo d’acqua in cui finalmente riconoscersi e rinnovare un patto, la cui rottura è più che mai attuale. E’ assetato di amore, Dio, e di giustizia e quando queste si condensano in un uomo, egli riafferma la sua presenza onnisciente al nostro fianco, anche senza i clamori di prodigi.
Cosa direbbe Dio se decidesse di parlare di nuovo con voce tuonante nella storia? Temo nulla di buono, perché il vaso dell’iniquità, dell’arroganza, dell’invidia, dell’indifferenza, dell’avidità e della lussuria, è ormai esondante. Mai come oggi il pensiero moderno ha dimostrato tutto il suo fallimento. Un pensiero divenuto persino arrogante e insolente nei confronti dello stesso uomo, che usa e asservisce ormai ai suoi scopi. La scienza e la tecnica avanzano indifferenti, replicano e clonano a dismisura gli oggetti del desiderio, del piacere e dell’amministrazione, mentre l’uomo si dilania, accoltella, violenta, umilia, ferisce, bestemmia, odia come fiera primordiale. La scienza come stupore e meraviglie gravida di conquiste per l’umanità (Volta, Marie Curie, Pasteur ecc..), sembra essere sparita dall’orizzonte umano al volgere del 20esimo secolo, per lasciare spazio alle sue più becere manipolazioni tecniche e insulti deontologici. Sono ormai più spesso armi di quanto non siano soluzioni ai problemi veri dell’uomo. Sono impiegate come armi di distruzione di massa (le geniali scoperte della chimica moderna presto messe al servizio delle trincee nella guerra 14-18 o del controllo alimentare oggi ad esempio) o armi di “distrazione” di massa, più rapide delle fibre ottiche su cui viaggiano e più letali di molte guerre. Quale prodigio ha dunque compiuto l’episteme, ormai deriva materialistica di quella filosofica, se non ha cambiato, ma anzi esacerbato tutte le debolezze e i mali che affliggono l’animo umano da sempre? Me lo chiedo con furore, come il creatore biblico. Ho trovato alcune risposte a questi spettri in Daniele. E voi?