C’è un affresco, nella tomba etrusca dei giocolieri a Tarquinia, che ha sempre colpito il mio immaginario. Si tratta di due figure, una più anziana, con bastone e l’indice che se ne stacca indicando davanti a sé. Sembra malferma nel procedere. L’altra più giovane, adolescenziale, porge il braccio, a cui la figura più anziana sembra appoggiarsi con decisione, tanto che se ne può percepire la presa.
Questo splendido affresco, sembrerebbe essere un’allegoria della morte e dell’oltretomba, il procedere cauto ed incerto della figura anziana con bastone, potrebbe significare l’incertezza di ciò che attende l’uomo nel suo ultimo viaggio. Il bastone con cui il vecchio sembra tastare il terreno davanti a sé, denuncia la condizione di cecità e timore che l’uomo può provare di fronte alla morte. E’ struggente il suo afferrare il braccio dell’adolescente, l’unico gesto sicuro dell’intera scena.
Quando ero più giovane, non avevo dubbi sul fatto di potermi identificarmi con la figura del giovane. Ora che gli anni sono passati, mi riconosco sempre di più con l’anziano, incerto e intimorito. Come cambia la prospettiva della propria esistenza, nella fissità dell’affresco. In questo sta il genio dell’abile artista, con un’opera semplice, ma molto fine stilisticamente, ha saputo abbracciare il dilemma e la condizione dell’intera esistenza.
Guardandolo e riguardandolo, ho cominciato ad intravvedere nuove opportunità interpretative. E se fosse l’anziano, ad accompagnare con la sua saggezza ed esperienza, il giovane sul sentiero incerto della vita? Le tombe etrusche sono ricolme di vita e non di morte. E se fosse morte, non potrebbe essere un padre che accompagna un figlio defunto verso l’ade? certo qualcuno potrebbe dire “Ah! adesso che ti senti più vicino al probabile defunto, fai finta che lui sia il vivo e che il morto sia l’altro ?” Ahahaha è vero, a questo non avevo pensato. Risponderei semplicemente, che il tentativo vano di esorcizzare la propria morte, non è certo una novità per l’uomo, di ieri e oggi…e di domani!
Non importa l’interpretazione che vogliamo dargli, quel che resta è un’immagine toccante, viva da 2.600 anni, di acuta profondità filosofica e al tempo stesso immediata, plateale. Ricordo che quando andai a Tarquinia nel 1992, rimasi ad osservarla irretito per ore, mi ossessionava il suo contenuto simbolico e quanto fosse vicina, nel senso amorevole e compassionevole del termine, alla nostra condizione secolare e spirituale.
Paolo Maggioni Conte