CORONAVIRUS E SUPERMERCATO

IL PARADOSSO DELLE MASCHERINE

Giovedì 12 marzo 2020

E’ giorno dopo il Decreto Ministeriale DPCM dell’11 marzo 2020 con cui il Presidente annuncia l’ulteriore irrigidimento delle norme restrittive contro il Coronavirus, relative alla circolazione dei cittadini, decretando il blocco totale della nazione ad esclusione di alcune attività. E’ quarantena cautelare su tutto il territorio nazionale. Sembrava ormai inevitabile, dato l’aumento esponenziale degli individuati come positivi, i morti prossimi alle mille persone e la potenziale diffusione in altre aree del paese. Il rischio potrebbero essere i molteplici focolai a scoppio ritardato in grado di compromettere gli sforzi fatti dalle aree nel frattempo risanate.

Con questa prospettiva, mi alzo presto la mattina per recarmi al supermercato. Vado solitamente alle 7.30, prima di iniziare le altre attività, anche perché a quell’ora è quasi vuoto. Prima sorpresa. Una lunga serpentina di carrelli circumnaviga mezzo perimetro dell’edificio, ordinatamente. Com’è strano il cervello umano. Una volta abituatosi a un certo di riferimenti spazio temporali, percepisce quasi come shock, il brutale cambiamento di queste coordinate. Guardavo la serpentina scorrere attraverso lo schermo del mio finestrino, incredulo. L’interpretazione parallela tra questa immagine e le file per il pane in Irak per Desert Storm nel 1990 o a Sarajevo nel 1994 (e altre vissute in diretta dalla mia generazione) faceva parte di quella suggestione amplificata che il cervello mette in atto di fronte a situazione che non afferra subito. Infatti, quello che sembrò un assedio del supermercato per accaparrarsi le ultime derrate alimentari (scenario da incubo, su cui i film di orrore e fantascientifici hanno ricamato fior di sceneggiature), era in realtà la semplice coincidenza di due variabili molto chiare, che non avevano nulla a che vedere con il panico.

Uno: Molte persone, al fine di evitare di incrociare troppi loro simili (la tiritera sulla distanza minima), avevano scelto orari di spesa nei quali normalmente c’è pochissima gente. Peccato che questa mattina, in molti devono aver pensato la stessa cosa.

Due: Il supermercato ha deciso contemporaneamente di attuare, corroborato dalle nuove disposizioni di governo, misure preventive ancora più stringenti. Hanno stabilito ad esempio, che i clienti possano entrare nel supermercato a gruppi di 5 o 6 non di più. Gli altri devono attendere fuori, in fila, in attesa che alcuni clienti che nel frattempo sono dentro a fare la spesa, superino la linea delle casse. c’era disciplina. Qua e là borbottamenti in ordine sparso.

Tre: La disposizione, uomo-carrello/uomo-carello, non fa giustizia della coda reale, perché ogni carrello occupa uno spazio molto superiore alle singole persone. Una fila di venti persone, finisce per diventare lunga come quella che riempirebbero 100 persone.

Quel che è certo è che le occasioni di prossimità dentro il supermercato si erano più rarefatte. Meno vapore acqueo da respirazione= meno carica virale in ambienti chiusi.

Tutto questo, non rende il fenomeno di questa mattina meno inquietante. Se non altro perché sono scenari (emergenze sanitarie, alimentari e climatiche) alle quali, secondo gli esperti, dovremmo abituarci per i decenni a venire.

Il problema pratico comunque, è che in mancanza di mascherine , c’è una totale incoerenza di profilassi e alla fine, a mio avviso, anche di risultati. Da un lato, pochi di quelli che dovrebbero averle ce l’hanno (i malati potenziali di Covid e i c.d. positivi asintomatici, potenzialmente trasmettitori del virus) . Dall’altro molte persone che ce l’hanno (che guarda caso sono spesso le più preoccupate perché più fragili immunologicamente), stanno usando quelle sbagliate, cioè quelle che bloccano il virus in uscita, mentre dovrebbero usare quelle che impediscono al virus di entrare nel loro apparato respiratorio. Finché non si risolve questo raffazzonamento profilattico, demandato all’incompetenza dei singoli, che agiscono in ordine sparso e senza alcun fondamento scientifico, continuerà ad essere rischioso fare la spesa per i più fragili ed esposti, ma per tutti è suscettibile di creare un bacino permanente di potenziale contagio. Ho visto usare bandane, sciarpe ed altri accessori di abbigliamento (ed io ero tra quelli), che finiscono per essere utilizzati più come deterrente psicologico, che come efficace barriera, in entrata o in uscita che sia.

Le mascherine dovrebbero essere fornite dai comuni e gratis. A fronte di un decreto ministeriale di tale portata, non si può lasciare che la sua attuazione sia affidata all’iniziativa e lo spirito di intraprendenza del singolo, costretto in vano a girare tutte le farmacie e moltiplicando per altro i tempi di esposizione potenziale, sua e degli altri.

Ma occorre chiarire che, a crisi finita, qualcuno dovrà rispondere per queste assurde carenze. Ma a differenza dei sovransti, afflitti da un perenne strabismo localista, il dito non andrà puntato contro uno o l’altro di chi, malgrado se, avrà gestito l’emergenza, ma contro la strategia mondiale della delocalizzazione allo scopo di massimizzare i profitti anche dei prodotti a basso valore aggiunto e ritenuti non strategici per un paese (ad esempio le famigerate mascherine appunto). Questa strategia è stata sostenuta per anni dalla retorica neo liberista intrisa del pericoloso dogma di mercato come saggio autoregolatore dell’economia.

Poi alla fine sarebbe forse, volgarmente, bastato fare una banale lista della spesa di tutti i prodotti strategici per un paese. E allora avremmo visto saltare fuori, in mezzo alla lista, le mascherine nelle strategie di difesa per la tenuta sanitaria, in caso di pandemie o epidemie diffuse. Ma col senno del poi conosciamo tutti l’antifona. E per usare una metafora di tipo diottrico, non possiamo pretendere che logica miope del consenso di elezioni a breve termine a cui è sottoposta la nostra democrazia, possa occuparsi di assetti strategici del paese, mascherine comprese.

Paolo Maggioni Conte

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